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TORTA PANE DI SANT'ANTONIO

Preparata con amore, offerta con speranza, gustata in condivisione, simbolo di solidarietà

La torta pane di Sant'Antonio rinnova la tradizione del "pane dei poveri",

che risale a quando i frati francescani donavano cibo e beni di prima necessità ai più bisognosi.

 

Queste torte vengono preparate con amore e passione,

e vendute dai nostri volontari alle famiglie delle parrocchie di Varese,

con l'intento di raccogliere fondi per continuare a garantire pasti caldi, farmaci gratuiti,

spese solidali, indumenti puliti e in ordine per gli ospiti che frequentano la Casa della Carità.


Ma non è solo questo.

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Per noi questa torta simboleggia l'impegno che ci prendiamo

di offrire sostegno a chi è in difficoltà

con l'obiettivo di aiutarlo a reintegrarsi nella società.


La torta di pane di Sant'Antonio rappresenta gli ideali, in cui crediamo fermamente,

di solidarietà e fratellanza tra uomini e donne di questo mondo.

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DOVE TROVARCI

La vendita delle torte riprenderà in autunno. 

Comunicheremo il calendario al più presto.

La torta di pane che piace a Francesco

 

di Gianni Spartà

 

 

La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo, la michetta avanzata alla mensa dei poveri, una fetta di torta. La parabola evangelica e l’inventiva solidale. Da questi due ingredienti una ricetta: non si butta via nulla, ciò che sembra non valere più, impastando amore e intraprendenza, si ricicla in cosa utile.

Da qualche settimana a Varese il retrobottega della chiesa della Brunella sforna il Pane di Sant’Antonio. E’ un dolce genuino di forma quadrata, viene chiuso in una busta e venduto per sostenere i servizi socio-assistenziali offerti agli emarginati. Prima raccomandazione: cercatelo e compratelo, magari per Natale. Aiuterete chi ha bisogno. Seconda: promuovetelo col passaparola, farete contento Papa Francesco che sulla necessità di estirpare la cultura dello scarto fabbrica le sue  encicliche.

La Brunella è il migliore osservatorio di povertà vecchie e nuove: venticinquemila pasti l’anno alla mensa quotidiana aperta tutti i giorni, centinaia di abiti usati distribuiti a chi è nudo, da qualche tempo anche un emporio, dove si entra con una tessera prepagata e si fa la spesa. Offerta da silenziosi benefattori.

Stava scritto che quanto hanno fatto i francescani della Brunella dal 1938 in avanti fosse lasciato in eredità a persone senza saio e sandali alle quali era stata indicata una strada. L’istituzione è sempre ecclesiale, sia chiaro, ma nell’ex convento ora c’è un via vai di volontari in borghese. Con preti al posto dei frati l’avventura del farsi prossimo continua. Anche nel palazzo adiacente che i seguaci del santo d’Assisi cedettero per pochissimo alla Fondazione Piatti (disabili gravi assistiti in 14 centri tra Varese e Milano).

Non è difficile individuare un modello economico, ovviamente non speculativo, in questa staffetta tra religiosi e laici. I primi hanno insegnato ad aiutare, ad accogliere, a perdonare nel nome di Dio. I secondi ne hanno fatto impegno civile in omaggio a un richiamo del cuore. E l’impegno civile contribuisce eccome al Pil di un Paese. A volte non c’è bisogno che i pubblici poteri elargiscano: basta che facilitino, promuovano. Le energie migliori stanno nella gente che sa fare, che dona il tempo. Se potessero parlare, le pietre della Brunella racconterebbero di una dama della carità silenziosa che c’era sempre, anche con la preghiera, quando i francescani chiamavano. Ma, avendo voce, quelle mura aggiungerebbero come, attorno ai frati, abbia preso corpo negli ultimi sessant’anni una straordinaria comunità di servizio.

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